Erezioni spontanee notturne e dolorose

PAOLO TURCHI • 14 luglio 2025

LE EREZIONI SPONTANEE NOTTUNE NORMALI (SRE) E DOLOROSE (SRPE)

Durante il sonno, fin dalla più giovane età, ogni uomo sano ha erezioni spontanee. Svegliarsi con il pene eretto, in assenza di stimoli onirici o esterni, diretti o indiretti, è un’esperienza universale. E’ la cosiddetta erezione spontanea notturna o SRE (sleep related erection), una erezione che compare tipicamente durante il sonno profondo, nelle cosiddette fasi di sonno REM (rapid eyes moviment). Durante queste fasi del sonno i neuroni del sistema simpatico, che tengono normalmente il pene in condizioni di detumescenza, vengono inattivati. Durante questa fase viene quindi a prevalere la via parasimpatica, che porta all’erezione. Durante queste erezioni si ha un aumento della frequenza cardiaca e avvengono movimenti involontari degli occhi. Si tratta quindi di un fenomeno fisiologico, che ha il senso di esercitare una vera e propria ginnastica muscolare e vascolare. Attraverso questa attività spontanea il meccanismo erettivo viene mantenuto in efficienza, grazie all’ossigenazione dell’endotelio dei corpi cavernosi e al mantenimento dell’elasticità del tessuto muscolare liscio cavernoso. Queste erezioni ci sono nell’arco di tutta la vita e sono considerate un indice di buona salute. Ci sono condizioni patologiche nelle quali, infatti, le erezioni tendono a ridursi di frequenza e di intensità o addirittura scompaiono. I disturbi circolatori, le malattie metaboliche e ormonali e la depressone sono le cause più frequenti. Le SRE avvengono in un numero di 3-5 per notte e il numero, la durata e la qualità delle erezioni dipendono anche dalla quantità e dalla qualità del sonno. Durano in media circa dieci minuti e non sono percepite, dal momento che avvengono in fasi di sonno profondo. In genere l’uomo se ne rende conto solo se ha un risveglio proprio durante queste fasi. Oppure se l’erezione è dolorosa, e provoca il risveglio. Una erezione spontanea rigida in un uomo con disfunzione erettile per lo più esclude una causa fisica. Per documentare la presenza e la qualità delle SRE esiste uno strumento che si chiama Rigiscan, che è in grado di registrare l’attività erettiva durante il sonno, documentando il numero di episodi, la rigidità e l’aumento di circonferenza di ciascun episodio. Questo esame di chiama NPT-Rigiscan test.


IL RISVEGLIO CON DOLORE

Gli uomini con erezioni dolorose legate al sonno, o sleep relate painful erection (SRPE) spesso sono svegliati dal dolore. Questo può durare a lungo, fino a un'ora. Le SRPE possono verificarsi più volte durante la notte e portare a privazione del sonno, affaticamento diurno, ansia e irritabilità. Spesso chi ne è affetto ne diventa ossessionato arrivando ad averne un netto peggioramento della qualità della vita. Gli uomini con SRPE di solito non hanno erezioni dolorose durante l’attività sessuale. In realtà, hanno spesso una normale funzione sessuale.

Le SRPE sono condizioni rare e non esiste una letteratura scientifica molto ampia. Inoltre, gli studi pubblicati hanno avuto risultati contrastanti, rendendo le SRPE una patologia difficile da comprendere e da trattare.

Cosa sono le erezioni notturne dolorose (SRPE)? L’American Academy of sleep Medicine definisce le sleep-related-painful-erections (SRPE) come “dolore penieno che si verifica durante erezioni, tipicamente durante episodi di donno REM”. Uomini con SRPE riferiscono frequenti risvegli legati a questo dolore penieno di entità importante. Le SRPE appartengono alle cosiddette parasomnie, che possono essere definite come fenomeni fisici indesiderati, eventi o esperienze (emozioni, percezioni, sogni) che posso avvenire durante il sono. Le opzioni di diagnostica e gestione per SRPE non sono chiaramente definite.

Le SRPE possono avvenire in uomini di qualunque età anche se l’età media dei casi pubblicati è risultata essere di 52 anni. Non sembrano essere correlate con la presenza di patologie o associate ad altri problemi sessuali. Anche il rapporto con assunzione di cibo o alcool non sono significativi. Non sono mai stati identificati fattori di rischio specifici.


Quali sono le cause delle SRPE ?

Non sappiamo ancora con certezza quali siano le cause di SRPE. Probabilmente le cause sono più di una. Diversi

studi hanno avanzato più ipotesi.

  • Aumento dei livelli sierici di testosterone (T) (ipotesi non confermata in nessuno studio)
  • Alterazione della funzione autonomica (ipotesi non confermata da nessuno studio)
  • Compressione dell’area pre-ottica cerebrale (LPOA) (ipotesi posta in uno studio del 2012 ma non confermata da studi successivi)
  • Sindrome da apnee ostruttive notturne (OSAS). Nonostante il razionale e nonostante uomini con SRPE trattati con CIPAP (respiratore notturno che favorisce una migliore ossigenazione) siano migliorati, questa ipotesi sembrerebbe confutata da uno studio recente (2016)
  • La sindrome compartimentale. La maggior parte dei pazienti con SRPE descrive un dolore profondo al pene, che alcune volte si irradia a inguine, addome, scroto e/o area perineale. Durante l'ultima fase di un'erezione normale del pene, sorge una cosiddetta sindrome compartimentale, creata da contrazioni ripetitive dei musco ischiocavernosi e bulbospongiosi. La sindrome compartimentale è caratterizzata dalla presenza di alta pressione persistente all'interno di uno spazio costante, che impedisce la circolazione microvascolare all'interno del comparto cavernoso interessato16,17. Quando questa sindrome persiste, i corpi cavernosi si trovano in una condizione di ischemia localizzata che, a sua volta, può indurre il dolore della SRPE. Un tono aumentato dei muscoli del pavimento pelvico, inclusi i muscoli ischiocavernosi e bulbospongiosi, potrebbe contribuire allo sviluppo di una sindrome compartimentale del pene. L'ipertonia da sola potrebbe essere una spiegazione per il dolore sperimentato durante gli SRPE. Il fatto che le erezioni stimolate siano normali nei pazienti con SRPE, potrebbero essere coerenti con questa ipotesi.
  • Cause psicosomatiche. Da tempo è stato ipotizzato che le SRPE fossero conseguenti a situazioni si ansia e di disagio, spesso coniugale, e che i disturbi del sonno ad esso conseguenti fossero causa di SRPE piuttosto che conseguenza. Ad oggi, è impossibile trarre conclusioni definitive in merito alla relazione tra sintomi di stress, umore o ansia e SRPE.


Con quali esami è possibile fare una diagnosi?

Da un punto di vista diagnostico i pazienti affetti da SRPE sono stati sottoposti a diverse indagini, ma i risultati dei test di laboratorio, dell’ecografia pelvica, del ecocolorDoppler del pene e le EMG eseguite negli studi pubblicati fino a oggi, non hanno mostrato anomalie quasi in nessun paziente con SRPE. Anche gli NPT-Rigiscan test mostravano ampia variabilità. In sostanza quindi non esiste un algoritmo diagnostico al quale attenersi e la diagnosi è quindi basata sul racconto del paziente.


Esistono terapie efficaci?

La necessità di fornire al paziente un trattamento in grado di alleviare la sintomatologia, ha fatto si che diversi farmaci siano stati utilizzati negli anni per contrastare questo disturbo. I farmaci utilizzati erano mirati su obiettivi diversi e sono stati così utilizzati, con risultati spesso discrepanti tra i vari studi o anche tra i vari pazienti nell’ambito di uno stesso studio, diversi tipi di farmaci. A seguire l’elenco di quelli studiati.

  • Miorilassanti – La maggior parte dei pazienti descritti in letteratura sono stati trattati con il Baclofen, a una dose iniziale di 10 mg la sera (at bedtime) e incrementando la dose fino a un massimo di 40 mg. Circa il 30-40 % dei pazienti guarisce in 2-3 mesi mentre un altro 30% circa ha comunque benefici.
  • Antidepressivi - Benché i farmaci antidepressivi abbiano diversi meccanismi di azione, hanno tutti un effetto di aumento della biodisponibilità della serotonina e della noradrenalina che, inibiscono le SRPE mediante soppressione del sonno REM. Clomipramina e clonazapina sono i più studiati.
  • Ansiolitici - Anche i benzodiazepinici sopprimono il sonno REM ed hanno un effetto miorilassante e benché i risultati soprattutto con l’uso del clonazepam siano promettenti, l'uso prolungato può provocare tolleranza, dipendenza fisica e sintomi di astinenza alla sospensione. Un uso a lungo termine (superiore a 1 anno) è quindi da considerare con cautela.
  • Antiandrogeni- Ciproterone acetato, Bicalutamide. Nei pazienti con SRPE non è stata dimostrata alcuna efficacia
  • PDE5 inibitori – Benchè sildenafil e tadalafil siano usati con efficacia nel trattare la disfunzione erettile, è descritto un effetto paradosso quando questi farmaci sono usati a basso dosaggio, che può essere sfruttato per trattare le SRPE. L’unico studio pubblicato (solo 4 pazienti trattati) appare promettente.


Conclusioni:

La SRPE è una patologia rara e difficile da studiare. Probabilmente tra i meccanismi fisiopatologici ipotizzati l’ipertonia dei muscoli del pavimento pelvico è la più plausibile. Mancano test diagnostici raccomandati e specifici e anche la terapia non è standardizzabile. I farmaci più promettenti sono sicuramente il baclofen e, in misura minore, il clonazepam. Promettente anche la fisioterapia del pavimento pelvico, che può efficacemente contribuire ad alleviare i sintomi da SRPE.


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Autore: PAOLO TURCHI 15 luglio 2025
Buone notizie per i maschi dal Congresso della Associazione degli Urologi Americani che si è tenuto a maggio a New Orleans: oggi è possibile fare qualcosa per prevenire il tumore alla prostata, e per una volta non si richiedono diete ferree e sacrifici ipersalutisti. La dottoressa Jennifer Rider, epidemiologa di Boston, ha infatti presentato i risultati di uno studio secondo cui una regolare attività sessuale potrebbe prevenire l'insorgenza del tumore prostatico. La ricerca ha riguardato 32000 maschi seguiti dal 1994 ad oggi. Ai partecipanti erano state chieste all'inizio dello studio precise informazioni sulle abitudini sessuali, in particolare sulla frequenza dei rapporti che avevano avuto nell'anno precedente l'intervista e in altri due periodi della loro vita (nella decade tra i 20 e i 30 anni e in quella tra i 40 e i 50 anni); i soggetti sono stati seguiti nel tempo, ed è risultato che quelli che avevano una frequenza di rapporti più elevata si ammalavano di meno di tumore alla prostata. Nello specifico, coloro che avevano una media di più di 21 rapporti al mese in uno dei periodi presi in esame avevano un rischio di ammalarsi minore di circa il 20% rispetto a quelli che ne avevano solo da 4 a 7; inoltre, i soggetti che avevano mantenuto una media di rapporti superiore a 21 in tutti i periodi della vita considerati risultavano ancora più “protetti” nei confronti del tumore alla prostata, con un rischio di ammalarsi più basso di circa il 35% rispetto ai meno attivi sessualmente. Il carcinoma prostatico, la neoplasia più frequente negli uomini sopra i 65 anni di età, risulta meno legato rispetto ad altri tumori a fattori di rischio noti e modificabili. Di conseguenza, fare prevenzione vuol dire essenzialmente fare diagnosi precoce: una visita urologica periodica sopra i 60 anni potrebbe permettere di diagnosticare una malattia in fase iniziale quando siamo ancora in tempo per ottenere, avvalendoci anche delle più moderne metodiche come la chirurgia robotica, ottime probabilità di guarire dalla malattia conservando importanti funzioni quali la continenza urinaria e la potenza sessuale. Lo studio della dott.ssa Rider si pone quindi in un campo di grande importanza sociale e ancora alla ricerca di evidenze scientifiche. Precedenti studi avevano indicato un possibile ruolo preventivo degli antiossidanti vegetali presenti nella dieta mediterranea; potremmo quindi concludere che oggi il tumore della prostata si previene a tavola... e anche a letto!
Autore: PAOLO TURCHI 15 luglio 2025
I risultati di un importante studio europeo, pubblicato pochi giorni fa su Lancet (*) confermano che effettuare di routine il test del PSA porta a una significativa riduzione della mortalità per cancro della prostata. Tuttavia l’utilità dello screening è controverso soprattutto per i problemi legati alla sovra diagnosi, che è considerata un vero evento avverso all’effettuazione del test su tutta la popolazione. Che vuol dire? Vediamo di capirci qualcosa. ERSPC è uno studio multicentrico, randomizzato, con una banca dati centralizzata e predefinita, nel quale è stato valutato l’effetto del dosaggio dell'antigene prostatico specifico (PSA) in uomini tra i 55 e i 69 anni di età in otto paesi europei. Un gruppo di uomini di età compresa tra i 50 e i 74 anni, identificati dai registri della popolazione, sono stati assegnati, secondo una numerazione casuale generata da un computer, al gruppo di controllo che prevedeva il solo monitoraggio senza interventi diagnostici. L'obiettivo primario era valutare la mortalità per cancro alla prostata nel gruppo di studio, rispetto a quello di controllo. Gli uomini inseriti nello studio sono stati seguiti per 13 anni, durante i quali sono stati diagnosticati 7.408 casi di cancro alla prostata nel gruppo di intervento e 6.107 casi nel gruppo di controllo. La riduzione del rischio assoluto di morte per cancro alla prostata a 13 anni è stato 0 · 11 per 1000 anni-persona o 1 · 28 per 1000 uomini randomizzati, che equivale a una morte per cancro alla prostata scongiurato ogni 781 uomini che hanno effettuato lo screening. L’ERSPC conferma quindi una sostanziale riduzione della mortalità per cancro alla prostata attribuibile al test del PSA, con un sostanziale aumento dell'effetto assoluto a 13 anni rispetto a risultati dopo 9 e 11 anni. Nonostante questi risultati, un’ulteriore quantificazione dei danni e la loro riduzione sono ancora considerati un prerequisito per l'introduzione del PSA nello screening su larga scala. Gli stessi autori dello studio, nonostante questi risultati, rimangono prudenti circa i programmi di screening di popolazione, perché l'alto tasso di sovra diagnosi legate allo screening deve ancora essere affrontato. In conclusione ? Da un punto di vista delle raccomandazioni cliniche che le società scientifiche possono promulgare come linea di comportamento per gli specialisti, il tempo per lo screening di massa sulla popolazione non è ancora arrivato. Questo perché ulteriori ricerche dovranno valutare modi per ridurre l’eccesso di diagnosi, evitando costi rilevanti per il servizio sanitario per lo screening e per le procedure di biopsia inutili che questo screening comporterebbe, il tutto per aiutare infine solo pochi pazienti. Lo screening con il PSA è imperfetto perché, anche se salva la vita a molti uomini, causerà a molti altri l’individuazione di tumori che non li esporranno a un rischio di vita e costringeranno molti pazienti a sottoporsi a trattamenti non necessari. Un problema spesso trascurato con lo screening è che esso non impedisce tutti i decessi correlati alla malattia. Insomma non salva la vita a tutti coloro che lo eseguono. è questo trio di inconvenienti (sovra diagnosi, complicazioni del trattamento e progressione della malattia), che rendono incerto il ruolo del PSA nello screening del cancro della prostata. Lo stesso Richard Ablin, che scoprì il PSA nel 1970, ritiene che il suo uso nella routine sia un "disastro estremamente costoso per la salute pubblica." In realtà il PSA non è mai stato pensato per essere utilizzato per lo screening di routine, perché non in grado di rilevare il cancro alla prostata (come noto il PSA si può elevare anche per infezioni, uso di farmaci, ipertrofia benigna) e, soprattutto, il test non è in grado di differenziare un cancro alla prostata in rapida crescita e potenzialmente mortale da un cancro che cresce lentamente e che non ucciderà. Ciononostante rimane un test preventivo che non può essere ignorato, particolarmente nei casi di familiarità per cancro prostatico, e la sua utilità deve essere discussa tra medico e paziente, in ciascun singolo caso. Lancet. Pubblicato online il 7 agosto 2014
Autore: PAOLO TURCHI 15 luglio 2025
La terapia ormonale della infertilità maschile si basa sull'uso di due ormoni: l'FSH e l'HCG. Questi ormoni sono usati in una patologia che si chiama ipogonadismo ipogonadotropo, condizione nella quale l'organismo non è in grado di sintetizzare e immettere in circolo i 2 ormoni ipofisari FSH e LH che sono indispensabili per la produzione degli spermatozoi. Somministrare questi due ormoni in forma iniettabile ripristina una spermatogenesi efficace in pochi mesi. Sulla base di questi risultati da anni viene proposta la stessa terapia anche per trattare uomini con bassa produzione di spermatozoi, che possono avere livelli bassi o anche normali di FSH e LH (e testosterone). In sostanza in quelle forme di infertilità maschile senza una causa dimostrabile (si parla in questi casi di infertilità idiopatica) si possono somministrare questi ormoni con l’intento di iperstimolare i testicoli a produrre più spermatozoi. Questa terapia può essere proposta dallo specialista, che redigerà un piano terapeutico con il quale il paziente potrà ottenere il farmaco. Deve essere esplicitato il concetto che nonostante vi sia esperienza pluridecennale nell’uso dell’FSH e dell’HCG (che ha un effetto simile all’LH) nell’ipogonadismo ipogonadotropo, nelle forme cosiddette idiopatiche l’uso di questa terapia ormonale non compare nelle linee guida pubblicate, a causa di una evidenza scientifica ancora debole, sulla base degli studi ad oggi pubblicati. Tuttavia, oltre ad avere presupposti forti, questa terapia, negli studi pubblicati fino ad oggi, ha ottenuto risultati molto promettenti. Questi studi mostrano miglioramenti significativi in termini di ottenimento di gravidanza spontanea in coppi nelle quali i maschi erano stati curati con FSH rispetto ad analoga popolazione di maschi infertili che non avevano ricevuto la terapia. Addirittura, i miglioramenti, in termini di percentuale di coppie che hanno avuto il bambino desiderato, sono stati statisticamente significativi anche nei casi di gravidanza ottenuta con fecondazione assistita, in coppie nelle quali il maschio sia stato trattato con FSH. Perché porre una terapia impegnativa, in termini di costi e di durata , in una condizione quella della infertilità idiopatica nella quale non si è riusciti a porre una diagnosi precisa? Etichettare il maschio infertile come idiopatico e inviare la coppia a fare una procedura di fecondazione assistita equivale a privarlo di possibilità diagnostiche più approfondite e privarlo anche della possibilità di migliorare la sua condizione seminale. Lo stato si fa carico dei costi, se le indicazioni sono corrette e il maschio, anche nei casi nei quali si pensa di ricorrere alla fecondazione assistita, può, almeno in parte, farsi carico del peso della fecondazione assistita. Un 20–30% delle coppie infertili presenta infatti solo un fattore maschile. Il maschio in queste coppie è causa della fecondazione assistita che però grava interamente sulla donna, che in questi casi è sana e fertile ma deve farsi carico della procedura. Ad oggi nessuno studio, nel quale uomini infertili siano stati stimolati con livelli sovra fisiologici di gonadotropine, ha mai prodotto effetti collaterali. Le terapie sono ben tollerate e in genere i maschi infertili non hanno nessun tipo di riluttanza a sottoporsi alla terapia iniettiva. I cicli di terapia mediamente consistono di 3 iniezioni per settimana, che il paziente può praticarsi da solo, iniettandosi il prodotto sottocute nella pancia o in una coscia o in un braccio, per un periodo di 3 mesi. Naturalmente queste cure sono prescrivibili solo dallo specialista andrologo, che proporrà questa terapia sulla base di un protocollo diagnostico che abbia escluso cause specifiche di infertilità e redigerà un piano terapeutico attivando la nota AIFA 75 che consentirà di acquisire il farmaco nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale. Referenze - Dwyer AA, Raivio T, Pitteloud N. Gonadotrophin replacement for induction of fertility in hypogonadal men. Best Pract Res Clin Endocrinol Metab. 2015;29(1):91-103. - Anderson RC, Newton CL, Anderson RA, Millar RP. Gonadotropins and Their Analogs: Current and Potential Clinical Applications. Endocr Rev. 2018;39(6):911-937. - Duca Y, Calogero AE, Cannarella R, Condorelli RA, La Vignera S. Current and emerging medical therapeutic agents for idiopathi c male infertility. Expert Opin Pharmacother. 2019;20(1):55-67. - Shiraishi K, Matsuyama H. Gonadotoropin actions on spermatogenesis and hormonal therapies for spermatogenic disorders [Review]. 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