
I risultati di un importante studio europeo, pubblicato pochi giorni fa su Lancet (*) confermano che effettuare di routine il test del PSA porta a una significativa riduzione della mortalità per cancro della prostata. Tuttavia l’utilità dello screening è controverso soprattutto per i problemi legati alla sovra diagnosi, che è considerata un vero evento avverso all’effettuazione del test su tutta la popolazione. Che vuol dire? Vediamo di capirci qualcosa. ERSPC è uno studio multicentrico, randomizzato, con una banca dati centralizzata e predefinita, nel quale è stato valutato l’effetto del dosaggio dell'antigene prostatico specifico (PSA) in uomini tra i 55 e i 69 anni di età in otto paesi europei. Un gruppo di uomini di età compresa tra i 50 e i 74 anni, identificati dai registri della popolazione, sono stati assegnati, secondo una numerazione casuale generata da un computer, al gruppo di controllo che prevedeva il solo monitoraggio senza interventi diagnostici. L'obiettivo primario era valutare la mortalità per cancro alla prostata nel gruppo di studio, rispetto a quello di controllo. Gli uomini inseriti nello studio sono stati seguiti per 13 anni, durante i quali sono stati diagnosticati 7.408 casi di cancro alla prostata nel gruppo di intervento e 6.107 casi nel gruppo di controllo. La riduzione del rischio assoluto di morte per cancro alla prostata a 13 anni è stato 0 · 11 per 1000 anni-persona o 1 · 28 per 1000 uomini randomizzati, che equivale a una morte per cancro alla prostata scongiurato ogni 781 uomini che hanno effettuato lo screening. L’ERSPC conferma quindi una sostanziale riduzione della mortalità per cancro alla prostata attribuibile al test del PSA, con un sostanziale aumento dell'effetto assoluto a 13 anni rispetto a risultati dopo 9 e 11 anni. Nonostante questi risultati, un’ulteriore quantificazione dei danni e la loro riduzione sono ancora considerati un prerequisito per l'introduzione del PSA nello screening su larga scala. Gli stessi autori dello studio, nonostante questi risultati, rimangono prudenti circa i programmi di screening di popolazione, perché l'alto tasso di sovra diagnosi legate allo screening deve ancora essere affrontato. In conclusione ? Da un punto di vista delle raccomandazioni cliniche che le società scientifiche possono promulgare come linea di comportamento per gli specialisti, il tempo per lo screening di massa sulla popolazione non è ancora arrivato. Questo perché ulteriori ricerche dovranno valutare modi per ridurre l’eccesso di diagnosi, evitando costi rilevanti per il servizio sanitario per lo screening e per le procedure di biopsia inutili che questo screening comporterebbe, il tutto per aiutare infine solo pochi pazienti. Lo screening con il PSA è imperfetto perché, anche se salva la vita a molti uomini, causerà a molti altri l’individuazione di tumori che non li esporranno a un rischio di vita e costringeranno molti pazienti a sottoporsi a trattamenti non necessari. Un problema spesso trascurato con lo screening è che esso non impedisce tutti i decessi correlati alla malattia. Insomma non salva la vita a tutti coloro che lo eseguono. è questo trio di inconvenienti (sovra diagnosi, complicazioni del trattamento e progressione della malattia), che rendono incerto il ruolo del PSA nello screening del cancro della prostata. Lo stesso Richard Ablin, che scoprì il PSA nel 1970, ritiene che il suo uso nella routine sia un "disastro estremamente costoso per la salute pubblica." In realtà il PSA non è mai stato pensato per essere utilizzato per lo screening di routine, perché non in grado di rilevare il cancro alla prostata (come noto il PSA si può elevare anche per infezioni, uso di farmaci, ipertrofia benigna) e, soprattutto, il test non è in grado di differenziare un cancro alla prostata in rapida crescita e potenzialmente mortale da un cancro che cresce lentamente e che non ucciderà. Ciononostante rimane un test preventivo che non può essere ignorato, particolarmente nei casi di familiarità per cancro prostatico, e la sua utilità deve essere discussa tra medico e paziente, in ciascun singolo caso. Lancet. Pubblicato online il 7 agosto 2014

La terapia ormonale della infertilità maschile si basa sull'uso di due ormoni: l'FSH e l'HCG. Questi ormoni sono usati in una patologia che si chiama ipogonadismo ipogonadotropo, condizione nella quale l'organismo non è in grado di sintetizzare e immettere in circolo i 2 ormoni ipofisari FSH e LH che sono indispensabili per la produzione degli spermatozoi. Somministrare questi due ormoni in forma iniettabile ripristina una spermatogenesi efficace in pochi mesi. Sulla base di questi risultati da anni viene proposta la stessa terapia anche per trattare uomini con bassa produzione di spermatozoi, che possono avere livelli bassi o anche normali di FSH e LH (e testosterone). In sostanza in quelle forme di infertilità maschile senza una causa dimostrabile (si parla in questi casi di infertilità idiopatica) si possono somministrare questi ormoni con l’intento di iperstimolare i testicoli a produrre più spermatozoi. Questa terapia può essere proposta dallo specialista, che redigerà un piano terapeutico con il quale il paziente potrà ottenere il farmaco. Deve essere esplicitato il concetto che nonostante vi sia esperienza pluridecennale nell’uso dell’FSH e dell’HCG (che ha un effetto simile all’LH) nell’ipogonadismo ipogonadotropo, nelle forme cosiddette idiopatiche l’uso di questa terapia ormonale non compare nelle linee guida pubblicate, a causa di una evidenza scientifica ancora debole, sulla base degli studi ad oggi pubblicati. Tuttavia, oltre ad avere presupposti forti, questa terapia, negli studi pubblicati fino ad oggi, ha ottenuto risultati molto promettenti. Questi studi mostrano miglioramenti significativi in termini di ottenimento di gravidanza spontanea in coppi nelle quali i maschi erano stati curati con FSH rispetto ad analoga popolazione di maschi infertili che non avevano ricevuto la terapia. Addirittura, i miglioramenti, in termini di percentuale di coppie che hanno avuto il bambino desiderato, sono stati statisticamente significativi anche nei casi di gravidanza ottenuta con fecondazione assistita, in coppie nelle quali il maschio sia stato trattato con FSH. Perché porre una terapia impegnativa, in termini di costi e di durata , in una condizione quella della infertilità idiopatica nella quale non si è riusciti a porre una diagnosi precisa? Etichettare il maschio infertile come idiopatico e inviare la coppia a fare una procedura di fecondazione assistita equivale a privarlo di possibilità diagnostiche più approfondite e privarlo anche della possibilità di migliorare la sua condizione seminale. Lo stato si fa carico dei costi, se le indicazioni sono corrette e il maschio, anche nei casi nei quali si pensa di ricorrere alla fecondazione assistita, può, almeno in parte, farsi carico del peso della fecondazione assistita. Un 20–30% delle coppie infertili presenta infatti solo un fattore maschile. Il maschio in queste coppie è causa della fecondazione assistita che però grava interamente sulla donna, che in questi casi è sana e fertile ma deve farsi carico della procedura. Ad oggi nessuno studio, nel quale uomini infertili siano stati stimolati con livelli sovra fisiologici di gonadotropine, ha mai prodotto effetti collaterali. Le terapie sono ben tollerate e in genere i maschi infertili non hanno nessun tipo di riluttanza a sottoporsi alla terapia iniettiva. I cicli di terapia mediamente consistono di 3 iniezioni per settimana, che il paziente può praticarsi da solo, iniettandosi il prodotto sottocute nella pancia o in una coscia o in un braccio, per un periodo di 3 mesi. Naturalmente queste cure sono prescrivibili solo dallo specialista andrologo, che proporrà questa terapia sulla base di un protocollo diagnostico che abbia escluso cause specifiche di infertilità e redigerà un piano terapeutico attivando la nota AIFA 75 che consentirà di acquisire il farmaco nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale. Referenze - Dwyer AA, Raivio T, Pitteloud N. Gonadotrophin replacement for induction of fertility in hypogonadal men. Best Pract Res Clin Endocrinol Metab. 2015;29(1):91-103. - Anderson RC, Newton CL, Anderson RA, Millar RP. Gonadotropins and Their Analogs: Current and Potential Clinical Applications. Endocr Rev. 2018;39(6):911-937. - Duca Y, Calogero AE, Cannarella R, Condorelli RA, La Vignera S. Current and emerging medical therapeutic agents for idiopathi c male infertility. Expert Opin Pharmacother. 2019;20(1):55-67. - Shiraishi K, Matsuyama H. Gonadotoropin actions on spermatogenesis and hormonal therapies for spermatogenic disorders [Review]. Endocr J. 2017;64(2):123-131. - Behre HM. Clinical Use of FSH in Male Infertility. Front Endocrinol (Lausanne). 2019;10:322. - Santi D, Poti F, Simoni M, Casarini L. Pharmacogenetics of G-protein-coupled receptors variants: FSH receptor and infertility treatment. Best Pract Res Clin Endocrinol Metab. 2018;32(2):189-200. - Barbonetti A, Calogero AE, Balercia G, et al. The use of follicle stimulating hormone (FSH) for the treatment of the infertile man: position statement from the Italian Society of Andrology and Sexual Medicine (SIAMS). J Endocrinol Invest. 2018;41(9):1107-1122. - Simoni M, Casarini L. Mechanisms in endocrinology: Genetics of FSH action: a 2014-and-beyond view. Eur J Endocrinol. 2014;170(3):R91-107. - Rastrelli G, Corona G, Mannucci E, Maggi M. Factors affecting spermatogenesis upon gonadotropin-replacement therapy: a meta-analytic study. Andrology. 2014;2(6):794-808. - Santi D, Simoni M. Biosimilar recombinant follicle stimulating hormones in infertility treatment. 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Un trattamento con testosterone protratto per almeno una anno, di uomini anziani con basso livello di questo ormone, migliora la funzione sessuale, l'umore, i sintomi depressivi, e le performance fisiche (capacità di camminare), ma non sembra migliorare la vitalità. Questo il risultato di tre studi coordinati che hanno seguito 790 uomini di età media di 65 anni, pubblicati nel numero di febbraio del New England Journal of Medicine (PJ Snyder, et al) Questo studio aveva lo scopo di stabilire un chiaro vantaggio di questo tipo di terapia prima di valutarne i rischi a lungo termine. Non sono stati qui affrontati i rischi potenziali di un trattamento a lungo termine, che comprendono la possibilità di infarto e ictus sollevato recentemente dalla US Food and Drug Administration. Recentemente la FDA ha ulteriormente chiarito che i prodotti a base di testosterone sono approvati solo per il trattamento di uomini con bassi livelli di testosterone in presenza di condizioni mediche specifiche e non semplicemente per la condizione di invecchiamento. L'autore dello studio ha affermato in un'intervista a Medscape, "Ora abbiamo la prima parte della risposta sui benefici. Quando avremo i risultati degli altri quattro studi in corso, avremo una buona idea dei vantaggi di questa terapia. Ma neanche allora avremo dati concreti sul potenziale rischio. uno studio per valutare il rischio richiederebbe molti più uomini seguiti per un periodo di tempo più lungo". Negli studi pubblicati è stata indagata la funzione sessuale, la funzione fisica, e la vitalità di 790 uomini di età oltre i 65 anni con concentrazione di testosterone inferiore a 275 ng/dl e sintomi che suggeriscono iperandrogenismo. Questi uomini sono stati trattati con testosterone gel o gel placebo, secondo un codice di randomizzazione, per 1 anno e sono stati seguiti per un ulteriore anno. Tutti gli uomini reclutati avevano un deficit in una o più delle funzioni indagate (funzione sessuale, funzione fisica, vitalità). Inoltre, circa due terzi erano obesi, il 72% soffriva di ipertensione, e il 15% aveva una storia di infarto del miocardio. Erano stati esclusi uomini con cancro alla prostata, uomini ad alto rischio cardiovascolare, e uomini con depressione grave. I risultati hanno mostrato come nel grupo degli uomini che hanno ricevuto il testosterone, la concentrazione media di questo ormone si sa mantenuta costantemente otre il range minimo di partenza. c'è stato un significativo aumento nelle misure del desiderio sessuale (P <.001) e della funzione erettile (P <.001). Nella prova della funzione fisica, c'è stata una significativa differenza tra i gruppi in quattro misure di funzione fisica, tra cui un aumento di distanza percorsa in 6 minuti di camminata. Gli uomini che hanno ricevuto il testosterone hanno riferito migliore stato d'animo e minore gravità dei sintomi depressivi rispetto a quelli che hanno ricevuto il placebo. Nella prova Vitalità, ci sono state differenze significative tra il gruppo di testosterone e il gruppo placebo nella Medical Outcomes Study. Lo studio non ha rilevato alcun evento avverso. Anche se più uomini assegnati al testosterone rispetto a quelli assegnati al placebo hanno mostrato un aumento di antigene prostatico specifico (PSA) di 1,0 ng / ml o più durante il periodo di trattamento, solo ad un uomo (nel gruppo testosterone) è stato diagnosticato un cancro alla prostata durante il periodo del trattamento. Inoltre, a due uomini nel gruppo testosterone e uno nel gruppo placebo è stata fatta la diagnosi di cancro durante l'anno successivo. Sette uomini in ogni gruppo hanno avuto eventi cardiovascolari maggiori (infarto miocardico, ictus, o morte per cause cardiovascolari) durante il periodo di trattamento. Due del gruppo testosterone e nove nel gruppo placebo hanno avuto eventi cardiovascolari maggiori nel corso dell'anno successivo. Nei due gruppi non c'erano differenze di fattori rischio rispetto agli eventi avversi cardiovascolari. In conclusione questi studi confermano l'efficacia di una terapia con testosterone in uomini anziani con basso testosterone e sintomi ad esso correlati. La terapia avrà un'efficacia percepita dal paziente tanto maggiore quanto più basso sarà il livello di testosterone di partenza. Non esistono al momento motivi di preoccupazione relativi al rischio cardiovascolare. Tuttavia sarà necessario aspettare la pubblicazione di studi condotti più a lungo termine per avere dati più concreti. Fino a quel giorno rimane la necessità di seguire quanto stabilito dalle linee guida internazionali rispetto al monitoraggio corretto degli uomini in terapia, che dovranno effettuare controlli periodici che comprendano una visita e un esame del sangue con valutazione di emocromo e PSA, almeno una volta l'anno.